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Energia da fonti rinnovabili, cos’ha da offrirci lo spazio?

Satellite in orbita

C’è tanto spazio per l’energia rinnovabile, nello spazio. Dai pannelli fotovoltaici in orbita intorno alla Terra fino ai satelliti che monitorano l’erogazione di energia, passando per la ricerca di nuove soluzioni high tech per migliorare efficienza e affidabilità degli impianti solari ed eolici terrestri, le opportunità di sviluppo si vanno moltiplicando.

 

Negli ultimi anni tanto le agenzie spaziali quanto le istituzioni governative hanno avviato programmi per l’esplorazione oltre l’atmosfera terrestre tenendo conto – in proposito – dell’impatto diretto e indiretto che queste azioni possono avere sulla transizione energetica e sullo sviluppo di tecnologie in grado di promuovere la penetrazione delle rinnovabili. Posizionare i pannelli solari nello spazio, per fare un esempio semplice ma efficace, ridurrebbe il consumo del suolo e garantirebbe la produzione continua di energia pulita senza impattare sul territorio, promuovendo di conseguenza la sostenibilità sociale. Ed è proprio da questa prospettiva, che porta con sé sfide tecnologiche complesse e non ancora del tutto superate, che partiamo in questo breve viaggio.

Fotovoltaico spaziale, una soluzione alla discontinuità delle rinnovabili

All’inizio del 2023 l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha annunciato il programma Solaris, con l’obiettivo di stabilire la fattibilità economica e tecnologica della produzione di energia solare direttamente nello spazio. Non stiamo parlando dei classici pannelli solari collegati a navicelle, satelliti o altri oggetti orbitanti, ma di vere e proprie solar farm che stanno lassù e che generano energia per le attività di chi resta con i piedi a terra. Secondo le prime stime, si potrebbe arrivare potenzialmente a generare fino al 10%-15% dell’energia che oggi consuma l’intera Europa.

 

Si tratta di una possibile risposta al problema della discontinuità delle rinnovabili, in quanto sulla superficie terrestre la luce solare colpisce le celle solo per una parte della giornata e solo quando il cielo è sereno, mentre nello spazio si possono sfruttare orbite opportune per massimizzare la raccolta di energia, fino potenzialmente a produrne senza interruzioni.

I numeri del fotovoltaico spaziale

Tra dati tecnici e teorici.

10-15 %
energia

che si potrebbe produrre tramite il fotovoltaico spaziale, rispetto al fabbisogno europeo.


40.000
km

la distanza tra la Terra e gli impianti solari nello spazio.


24
ore al giorno

e tutti i giorni: la potenzialità (teorica) di raccogliere energia dal Sole senza discontinuità.


10-15 %
energia

che si potrebbe produrre tramite il fotovoltaico spaziale, rispetto al fabbisogno europeo.

40.000
km

la distanza tra la Terra e gli impianti solari nello spazio.

24
ore al giorno

e tutti i giorni: la potenzialità (teorica) di raccogliere energia dal Sole senza discontinuità.

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Lo spazio non è affatto una passeggiata

Arrivare a un risultato consistente in termini di solar farm orbitanti richiede di superare numerose sfide ancora aperte. L’attuale frontiera della ricerca è sfruttare il fotovoltaico spaziale (che di per sé già da oltre mezzo secolo è una realtà per l’alimentazione dei satelliti e delle navi e stazioni spaziali) per fare un passo in più e portare energia fino a terra, anche se solo a scopo dimostrativo: per esempio, nel giugno del 2023 il California institute of technology (Caltech) è riuscito per la prima volta a trasferire energia solare dallo spazio alla Terra, alimentando alcuni led. All’efficientamento di questo processo, sempre senza un conduttore fisico che connetta i pannelli orbitanti con la Terra, stanno lavorando anche aziende spaziali come Space X e Blue Origin, in un percorso di ricerca che – tuttavia – non ha ancora un esito concreto.

E resta a oggi irrisolto anche il problema della resistenza dei materiali ai raggi cosmici, per evitare che gli apparati vengano consumati già nel giro di pochi mesi – come è accaduto anche alla Tesla Roadster dimostrativa che Elon Musk aveva lanciato con a bordo lo Starsman nel febbraio 2018. Un’ulteriore sfida tecnologica la cui soluzione non è certo dietro l’angolo.

Le tappe programmate (dall’Esa) per il fotovoltaico spaziale

Ecco come l’Agenzia Spaziale Europea Esa pianifica, a oggi, la costruzione di impianti solari al di fuori dell’atmosfera terrestre.

2023

2025

2030

2035

2050

Inizio programma Solaris

Per stabilire la fattibilità della produzione di energia solare nello spazio.

Fine prima fase del programma Solaris

Definire le potenzialità dell’energia solare nello spazio, a partire dalla quantità di energia effettivamente trasferibile a terra.

Inizio produzione energia solare nello spazio

Ossia, trasformare gli esperimenti e gli studi di fattibilità in risultati concreti.

Realizzazione di una piccola centrale solare spaziale

Mettere a punto un sistema di produzione e trasferimento di energia su larga scala.

Produzione di energia solare in grandi quantità

Contribuire, con il fotovoltaico spaziale, in maniera sostanziale all’azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica.

Materiali per lo spazio, o per le condizioni estreme

Restando in ambito fotovoltaico, da sempre un aspetto cruciale è quello del materiale semiconduttore da impiegare per le celle. Già ormai ampiamente commercializzate le tecnologie al silicio, a film sottile e tutte quelle cosiddette di terza generazione, un’ulteriore soluzione efficace e già testata prevede l’utilizzo del tellururo di cadmio (CdTe). Oltre a essere economiche, leggere ed efficienti, celle di questo genere sono in grado di resistere alle difficili condizioni ambientali presenti nello spazio. L’invenzione, ideata nei laboratori del Regno Unito, è un esempio concreto delle possibili ricadute positive della ricerca anche sugli impianti rinnovabili presenti sulla Terra. Infatti individuare materiali in grado di produrre energia in condizioni estreme, come quelle dello spazio, è utile per realizzare centrali in ambienti poco ospitali come il deserto, l’oceano o l’alta montagna.

Ricadute esplorazione spaziale su rinnovabili Terra

Anche se ottiene meno visibilità mediatica rispetto ad altri filoni, l’attività spaziale ha un impatto positivo anche sugli impianti a energia rinnovabile che sono installati a terra sul nostro pianeta, in quanto i satelliti in orbita possono fungere da sentinelle per le centrali elettriche. Già oggi, e nei prossimi anni lo saranno sempre di più, grazie a questi occhi dal cielo si possono monitorare i cambiamenti del clima e ottimizzare i processi di produzione ed erogazione dell’energia degli impianti eolici e fotovoltaici.

 

Le stesse costellazioni satellitari potrebbero presto giocare un ruolo decisivo anche nello stoccaggio dell’energia, fornendo collegamenti tra i sistemi di accumulo distribuiti per il pianeta. Per esempio, è stata dimostrata la loro utilità per fornire energia in maniera rapida nelle zone più remote e per gestire in maniera efficiente i momenti di blackout. Insomma, lo spazio è anche una risorsa per promuovere lo sviluppo sostenibile dei paesi ancora low tech e risolvere questioni etiche e sociali come l’accesso “per tutti” all’energia pulita. 

Energia (geo)termica fuori dalla Terra: poco più che fantascienza

A oggi la geotermia rappresenta meno dell’1% della produzione mondiale di energia. Nonostante si tratti di una risorsa affidabile e potenzialmente in grado di soddisfare il 50% dei consumi, il suo sviluppo è stato sempre limitato, soprattutto se confrontato con fotovoltaico ed eolico.

 

L’esplorazione spaziale potrebbe essere la chiave per la rinascita dell’energia geotermica? Gli scienziati hanno già studiato le potenziali applicazioni delle tecnologie attualmente disponibili sulla Luna, così come su altri pianeti, senza però ottenere esiti positivi. Per esempio Marte, avendo una consistente attività vulcanica, potrebbe essere in linea teorica un serbatoio geotermico di grande importanza. Tuttavia, l’utilizzo di queste risorse è come minimo lontanissimo nel tempo, perché mancano le tecnologie sia per l’estrazione dell’energia sia per il suo trasferimento sulla Terra. Tutto questo senza considerare gli aspetti relativi al trasferimento dei materiali su un pianeta distante milioni di chilometri e, almeno finora, impossibile da raggiungere anche solo con una navicella che ospiti a bordo un equipaggio. Non molto diversa è la situazione per la Luna, dove immaginare la presenza di impianti (geo)termici oscilla per il momento tra la fantascienza e la prospettiva incerta di un futuro remoto.

 

Insomma sognare in grande non guasta, specialmente nelle vastità dello spazio, ma restare anche con i piedi ben piantati a terra è doveroso. Proprio come per il già citato fotovoltaico spaziale, che nel breve-medio periodo resta poco più che un’utopia, anche per la difficoltà di trasferire potenze significative fino alla superficie del nostro pianeta senza utilizzare conduttori fisici.

Curiosità sulla geotermia lunare

Qualche numero per raccontare una potenzialità che a oggi resta remota.

58
anni fa

i primi documenti ufficiali della Nasa sulla geotermia lunare risalgono a più di mezzo secolo fa.


20
km

la dimensione di un’area vulcanica estinta individuata sulla Luna nel 2023.


1.400
°C

la temperatura interna del nucleo lunare, sufficiente per attività di estrazione geotermica.


58
anni fa

i primi documenti ufficiali della Nasa sulla geotermia lunare risalgono a più di mezzo secolo fa.

20
km

la dimensione di un’area vulcanica estinta individuata sulla Luna nel 2023.

1.400
°C

la temperatura interna del nucleo lunare, sufficiente per attività di estrazione geotermica.

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Redazione Wired

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